Nel segno dell'arte:


Nel segno dell'arte:

da Annibal Caro alla raccolta di Luciano Moretti

 

Non poteva toccar sorte migliore alla casa appartenuta alla famiglia di Annibal Caro che quella di ospitare una raccolta artistica; nel corso della sua lunga esistenza, trascorsa vicino ai maggiori mecenati del Cinquecento, il Caro fu infatti amico di numerosi pittori e “affezionatissimo a la lor arte”.

In qualità di primo segretario del cardinale Alessandro Farnese, il letterato piceno ebbe certamente modo di frequentare molti degli artisti attivi per il porporato, da Tiziano a Michelangelo, dal Bronzino al Tribolo, sino ai fratelli Zuccari, tutti convenuti ‘...all'ombra de' gran gigli d'oro', emblema borbonico, ma anche farnesiano, esaltato dal Caro in una celebre canzone composta per conto del cardinale.

Della consuetudine del poeta con il mondo artistico fa anche fede il fatto che Giorgio Vasari gli avesse affidato la revisione del manoscritto delle ‘Vite', sapendo di condividere con lui il grande amore per l'arte di Michelangelo, non meno che la presunta partecipazione del Caro al fantasioso progetto per il giardino di Bomarzo, partorito dalla mente visionaria del principe Pierfrancesco Orsini.

Ma era per i Farnese che Annibal Caro produceva il massimo sforzo creativo elaborando i complessi progetti decorativi per il palazzo di Caprarola, emblema della magnificenza farnesiana: affidate al pennello di Taddeo Zuccari, le erudite allegorie formulate dal Caro con Onofrio Panvinio e Fulvio Orsini, “acquistano il valore metaforico proprio di una scrittura in codice, il cui senso segreto poteva essere colto solo se ci si lasciava guidare dalla fantasia lungo l'ambiguo percorso indicato dalle suggestive immagini” (T. Temperini, Percorsi di invenzione umanistica nelle Lettere di A. Caro, Civitanova Marche 1997, p. 32).

Un'iscrizione latina posta nel piccolo cortile della casa di Civitanova ricorda dunque a proposito “Questa è la casa di Annibal Caro, dove felicemente abitarono Pallade e le Muse e le Grazie”. Salvatore Quasimodo l'ha tradotta su sollecitazione di Luciano Moretti, la cui raccolta di dipinti, di incisioni e di disegni di vari maestri italiani del Novecento viene oggi esposta in quella stessa dimora, nel segno di un destino che tutto unisce nel nome dell'arte e della creatività.

Trattandosi di un'abitazione patrizia, sia pure alterata dai restauri compiuti negli anni settanta per adattarla alle nuove esigenze abitative, nell'impostare il piano espositivo si è cercato di conferire all'insieme un tono ‘domestico' e ‘familiare', come del resto consigliavano le misure stesse degli ambienti, tutti piuttosto raccolti, ma dotati di finestre dalle quali si gode uno splendido panorama sulle colline circostanti, fino al mare.

Recuperate nei depositi comunali due cassapanche seicentesche e quattro lanterne processionali laccate e dorate, si è provveduto a restaurarle per arredare in modo conveniente i locali di passaggio che introducono il visitatore in una dimora divenuta oggi luogo destinato all'arte contemporanea.

Nella scala trova finalmente una degna collocazione la tela cinquecentesca raffigurante la ‘Madonna del Soccorso', restaurata già alcuni anni orsono, ma conservata fino ad oggi in locali di difficile accesso: opera affascinante per il tema che tratta, caro alla religiosità popolare umbro-marchigiana, mostra una madre che invoca il soccorso della Vergine per salvare il proprio bambino che il demonio già ghermisce.

Esposta nel 2001 a San Severino Marche e a Roma nel palazzo Barberini in occasione della mostra dedicata ai pittori del Rinascimento, la tela è stata segnalata in quella circostanza da Miklos Boskovits come opera del pittore perugino Baldo De' Serofini, autore di due analoghe composizioni conservate presso la Galleria Nazionale delle Marche ad Urbino e nel convento recanatese del Beato Placido. Proveniente dalla chiesa di Sant'Agostino, l'opera civitanovese rispecchia un'iconografia diffusa soprattutto in ambito agostiniano, forse ispirata ad una sacra conversazione rappresentata frequentemente in area umbro-marchigiana dove il tema della Madonna del Soccorso, fra Quattro e Cinquecento, venne affrontato da artisti del calibro di Niccolò Alunno (Roma, Galleria Colonna), Giovanni Pagani (Avignone, Petit Palais), Giulio Vergari (Montefortino, collezione comunale).

Nei vari ambienti del piano terreno e nella piccola sala al primo piano hanno trovato posto le opere donate al Comune di Civitanova nel 1972 dal maestro Luciano Moretti per costituire una galleria d'arte moderna intitolata al figlio Marco, tragicamente scomparso in ancor giovane età. Dal momento della donazione fino al 1998, i dipinti e le opere grafiche erano state collocate in tre ambienti della Delegazione Comunale di Civitanova Alta con un allestimento spartano che certo non contribuiva a valorizzare quanto esposto, ma che era anche inidoneo alla corretta conservazione del fragile materiale cartaceo che rappresenta il nucleo più considerevole della collezione.

Negli anni, inoltre, il corpus proveniente dalla donazione Moretti s'è andato arricchendo di altre opere di diversa origine, spesso generosamente donate dai loro stessi autori: il trasferimento nei nuovi locali ha consentito di restituire alla raccolta Moretti la sua primitiva identità con grande vantaggio per la ricostruzione dei gusti e delle frequentazioni del donatore. Le opere che non hanno trovato posto nell'odierna esposizione, avranno una loro collocazione nel grande Sacrario, annesso al palazzo di Annibal Caro, che l'amministrazione comunale ha rilevato dall'Arcidiocesi di Fermo per ampliare la sede della galleria.

Al collezionista cui si deve la creazione della raccolta donata al Comune di Civitanova, Luciano Moretti, Roberta Ruggeri ha dedicato pagine commosse, capaci di restituire lo spessore culturale del personaggio ed il clima in cui sono maturate le sue esperienze artistiche. Moretti non era un abbiente mecenate come Luigi Magnani o un amateur-marchand; nato a Ripe di San Ginesio nel 1906 da una modesta famiglia, fu attratto dalla fascinosa personalità del fratello Lelio, scomparso nel 1916, stravagante figura di poeta e di scrittore amico di Michelstaedter. Durante gli studi magistrali a San Ginesio, Luciano Moretti ebbe come insegnante la scrittrice Dolores Prato che gli fece conoscere gli esiti più aggiornati della cultura romana del tempo; iscrittosi poi alla Facoltà di Magistero presso l'Università di Urbino, non prese la laurea ma ebbe modo di incontrare quel gruppo di letterati e di artisti che ruotavano intorno alla rivista ‘Valbona'.

Iniziata nelle Marche la sua carriera di maestro elementare, dopo un soggiorno a Montemonaco nel 1935, il Moretti giungeva finalmente a Civitanova dove si trattenne per lunghi anni eleggendo la cittadina maceratese a residenza della propria famiglia, allietata dalla nascita di due figli.

Nel piccolo mondo maceratese, cullato dall'ovattato effondersi degli affetti familiari, Luciano Moretti non si è però rinserrato nel proprio particulare, ma attraverso buone letture e fitti contatti epistolari con gli esponenti più in vista del mondo culturale milanese e romano ha saputo mantenere accesa la fiamma della curiosità, condividendo con i suoi allievi e gli amici la voglia di conoscere quanto maturava fuori dalla cerchia delle mura cittadine. Soprattutto d'estate, fra gli anni Quaranta e Cinquanta, Civitanova si animava d'una insospettabile colonia di artisti, di letterati, di editori e di scrittori che sceglievano questo lembo della costa adriatica per trascorrere lunghe vacanze, destinando la mattinata ai bagni di mare e il pomeriggio alle brevi escursioni nelle campagne e nei centri vicini, intavolando scintillanti conversazioni seduti ai tavoli del caffè di piazza, alternativa estiva ai ritrovi invernali nei locali alla moda delle grandi città.

Scorrendo l'elenco dei frequentatori di Civitanova nelle estati del dopoguerra, si ha l'impressione di scorrere le pagine del Gotha della cultura italiana del tempo; l'editore Scheiwiller che giungeva trafelato in bicicletta con i pantaloni arrotolati, Leonardo Sinisgalli con l'affascinante Giorgia De Cousandier, Alberto Lattuada, Domenico Cantatore con la moglie Liliana erano i compagni di Moretti durante quelle calde estati e gli preparavano la strada per incontrare a Milano, nell'inverno, Zavattini, Mulas, Ponti, Fiorenzo Tomea ed i frequentatori dell'esclusivo caffè Savini, Solmi, Penna, Quasimodo.

Ma Civitanova significava anche per Moretti essere il sodale di un'accademia peripatetica senza regole e formalità; la Scuola dell'Asola, animata da Arnoldo Ciarrocchi, della quale facevano parte anche la moglie Raffaella, Rossoni, Monachesi, Manfredi, Sdruscia.

Dell'amicizia di Moretti con Ciarrocchi e con Cantatore rimangono fotografie e lettere che denunciano una familiarità di lunga data, ma soprattutto vari dipinti ed incisioni che formano il nucleo più interessante della collezione comunale di Civitanova: illustra la copertina di questo catalogo un paesaggio di Civitanova Alta di Arnoldo Ciarrocchi, opera che ci sembra sintetizzare l'attaccamento alle radici e la propensione al viaggio sentimentale che anima la produzione dell'artista, reputato da Federico Zeri il maggiore incisore italiano del Novecento, ma che certo nutriva anche la sensibilità di Luciano Moretti.

Spigolando fra le opere pervenute a Civitanova con il suo lascito, non stupisce trovare un folto gruppo di incisioni uscite dai torchi degli amici urbinati, tutti legati alla esaltante esperienza della Scuola del Libro e presenti con le loro incisioni nelle pagine del trimestrale ‘Valbona': Bartolini, Castellani, Paulucci, Manaresi, Manfredi, Gulino, Bruscaglia e Fiorella Diamantini propongono una silloge incisoria di grande afflato poetico, in gran parte dedicata al paesaggio marchigiano.

Le amicizie romane di Moretti possono invece essere rivissute nella sua raccolta attraverso gli oli e le incisioni di Rossoni, Quaglia, Tamburi, Gentilini, Bartoli e Maccari che esprimono una vis poetica torbida, sanguigna come la tavolozza di Mafai, padre spirituale della Scuola Romana individuata con acuta pregnanza da Roberto Longhi.

Collezionista di non grandi disponibilità economiche, Luciano Moretti mostra una particolare predilezione per l'incisione e il disegno, per quelle espressioni artistiche intimistiche e personalissime che affondano le loro radici nell'anima stessa dell'artista. E' facile immaginare la trepidazione con cui il maestro marchigiano attendeva a Civitanova i plichi che gli portavano nuovi fogli provenienti da Roma, da Milano e da Bologna per incrementare la propria raccolta; ognuno legato ad un amico o a un artista a lungo ammirato da lontano e finalmente conosciuto, trama di quella rete di relazioni che si diparte da Civitanova ed abbraccia l'Italia dell'arte, nel segno di una solidarietà culturale che ha consentito a Moretti di riunire opere di grande valore.

Nel rinnovato allestimento, resosi necessario a cinque anni di distanza dall'inaugurazione della galleria, hanno trovato posto varie opere che nel primo progetto espositivo non era stato possibile valorizzare in modo adeguato, offrendo così al visitatore l'opportunità di apprezzare la ricchezza e l'unicità della collezione ospitata a Civitanova Alta, che con la sua specializzazione nel campo della grafica contemporanea rappresenta un'eccezione nel panorama pur articolato dei musei della provincia di Macerata. Proprio in ragione di questa specificità, la Regione Marche ha intrapreso nel corso del 2003 la catalogazione informatizzata delle opere d'arte della collezione Moretti, estendendo poi il progetto all'intero patrimonio artistico della città alta che presto sarà consultabile in via informatica con grande vantaggio per la conoscenza di opere d'arte poco studiate.

Nel nuovo allestimento della pinacoteca hanno trovato spazio alcune vivaci composizioni grafiche del maestro Wladimiro Tulli, caratterizzate da un'esuberante fantasia espressa attraverso una tavolozza vivace che discende dall'esperienza futurista con cui si era aperta la sua brillante carriera artistica, chiusasi di recente con l'improvvisa scomparsa del compianto maestro che tanto ha amato Civitanova, dove spesso ha esposto le sue opere.

Durante i cinque anni trascorsi dalla prima edizione del catalogo della galleria Moretti, non sono mancate altre importanti iniziative espositive temporanee, come le rassegne estive allestite nella chiesa di Sant'Agostino dove, dopo le mostre dedicate a Ciarrocchi e Broggini, esposizioni di carattere monografico o tematico hanno consentito di ammirare le opere dei maggiori protagonisti dell'arte marchigiana del Novecento, da Monachesi a Bruno da Osimo, da Adolfo de Carolis a Biagio Biagetti, contribuendo alla riscoperta di personalità sino ad oggi trascurate dagli studi ma tuttavia degne di essere considerate con occhio più attento e consapevole, secondo scelte che anche Moretti avrebbe certo sottoscritto.

Condividendo anche l'opinione di Ciarrocchi, secondo il quale “... gli incisori sono pochi come sono pochi i principi, o i nobili o i puri di cuore. Ed infine orgogliosissimi come i Santi”, Luciano Moretti era consapevole del filo sottile che legava in un tutt'uno omogeneo e coerente le opere da lui raccolte: dal foglio più antico, il paesaggio di Giovanni Fattori, alla ‘Natura Morta' del 1946 di Giorgio Morandi con il quale il collezionista ebbe radi, ma significativi scambi epistolari, sino alle prove grafiche di Arnoldo Ciarrocchi si snoda infatti un percorso stilistico fondato sulla consapevole pregnanza dell'espressione grafica, coltivata da questi artisti con la caparbia determinazione con la quale certi santi monaci hanno scelto una vita solitaria e povera.

Il vivace clima artistico degli anni Cinquanta e Sessanta rivive dunque nella raccolta Moretti e segna il momento più felice e spensierato della vita del collezionista; la morte del figlio Marco che “…cresceva come un Dioscuro (opus Fidiae), come un toro bianco”, secondo la bella immagine di Ciarrocchi, e poi il trasferimento a Roma, dove il maestro è scomparso nel 1985, connotano per il Moretti l'inizio di una vita pervasa da sentimenti malinconici nei quali spesso affiora il ricordo struggente di Civita-nova e del paesaggio maceratese “…così difficile da amare i primi anni e, dopo, penetrato fino all'abbandono assoluto. Capivo assai poco di quella bellezza; forse la indovinavo. Ora forse quella bellezza mi parla. Ma un linguaggio di dolore…”.

A quella bellezza che Moretti aveva saputo cogliere nelle Marche e nelle opere degli artisti amici, restituiamo il respiro poetico ripercorrendo, attraverso quanto esposto a Civitanova, la sottile trama dei pensieri e delle inquietudini, il sommesso richiamo dell'arte che giunge al cuore di chi vuole ascoltarlo, come un sussurro lieve che ci invita a riflettere.

E a capire.

Stefano Papetti